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Cosa si intende per contract? Come si inserisce nell’immaginario progettuale e nei diversi contesti in cui si applica? Dall’ospitalità al workplace, dalle strutture scolastiche e museali ai grattacieli: Gianluca Peluffo (di Gianluca Peluffo & Partners), Alessandro Adamo, (DEGW, brand di Lombardini 22), Marco Casamonti (Archea Associati), danno un volto riconoscibile ad un tema complesso. Modera Matteo Ruta, Direttore di Arketipo.

Dal tema del brief al progetto, il contract rappresenta un vero e proprio accordo tra il progettista e le aziende. Nell’ottica di una gestione generale del progetto, semplificare sistemi architettonici complessi sembra essere tra i principali obiettivi. Contract però significa anche personalizzare gli spazi attraverso scelte innovative e qualitative nell’impiego dei materiali e nell’ingegnerizzazione. Le sfide progettuali narrate di seguito costruiscono così una guida e un pretesto per elencare alcune necessità che spesso emergono in fase di studio: come portare l’identità italiana all’estero preservando il carattere culturale dei luoghi e del paesaggio, o come creare elementi di continuità applicando un nuovo linguaggio architettonico oltre che funzionale.

Si parla poi dell’opportunità di creare un dialogo con i fornitori locali facendo scelte costruttive che vadano incontro alle esigenze anche economiche del luogo, della ricerca di un ponte tra l’architettura e le arti, dell’obiettivo quanto mai attuale di progettare in modo sostenibile. Rispondere alle esigenze della committenza significa progettare a partire dall’osservazione dello spazio. Compito del progettista è anche quello di individuare soluzioni efficaci per concentrare le risorse rispetto alle superfici progettando in base alle funzioni specifiche degli spazi, ideare percorsi strategici di collegamento tra le diverse aree di lavoro, sempre più dinamiche grazie al supporto della tecnologia responsabile di un’importante evoluzione nel metodo e nel flusso di lavoro.

Che rapporto intercorre con i fornitori? Spesso un’abilità sottovalutata è proprio quella di scegliere di interagire con fornitori che abbiano un approccio artigianale alla realizzazione dei dettagli e che sappiano applicare la creatività alle necessità dettate dai vincoli di budget. Fare architettura è mettere l’uomo al centro del progetto in una visione quasi rinascimentale in cui arte e scienza, razionalità e interpretazione possono originare nuove strade e nuovi linguaggi espressivi. Il Contract sottopone quasi sempre il progettista alla sperimentazione: come in un processo di creazione artistica immagina soluzioni estetiche testando i risultati della materia ma viene a patti con l’esercizio costante del mantenere i costi. Una dialettica degli opposti nella quale le aziende italiane, grazie alla loro grande versatilità, capacità e buon gusto, trovano proficue occasioni di confronto anche all’estero.

Gianluca Peluffo – Gianluca Peluffo & Partners.

Un tema centrale quando si parla di contract è rappresentato dal dialogo tra culture profondamente diverse. Spesso ci si trova a progettare fuori dall’Italia e avere un’identità molto forte dalla quale partire è in se uno strumento di comunicazione essenziale. Attualmente stiamo realizzando delle grandi aree in territorio egiziano, in luoghi desertici e montagnosi, dove spesso l’unico rapporto spaziale tra gli elementi è quello che intercorre tra l’edificio e il cielo o tra gli edifici e il mare.

I due principali progetti per dimensione ai quali stiamo lavorando si trovano vicino al Cairo. La prima area sulla quale abbiamo operato è un deserto montagnoso posto sul mare, a 150 km dal Cairo, solitamente vissuta come meta di vacanza. Siamo stati incaricati di fare un masterplan molto grande che prevede 8000 unità che a loro volta comprendono circa 30 tipologie differenti di abitazioni e 3 hotel. Il primo lotto in fase di realizzazione è di ben 2000 unità. La prima grande sfida quando ci si confronta con un progetto così grande è sicuramente quella di “inventare” subito un linguaggio architettonico oltre a concentrarsi sull’area dal punto di vista funzionale e del sistema degli spazi pubblici. Per questo il progetto è stato preceduto da una fase intensa di ricerca che ci ha permesso di entrare nello spirito del luogo: una ricerca per immagini e storiografica è servita a trovare punti di raccordo importanti tra la storia della forma in Italia e la cultura egiziana. Nello specifico caso di questo luogo, il tema architettonico ha interessato i primi step di progetto: trovandoci affacciati su un porto turistico, abbiamo pensato agli edifici come a dei corpi, degli elementi con dei veri e propri occhi per poter guardare il paesaggio.

Basandoci anche su informazioni tecniche come il cammino del vento, abbiamo potuto operare scelte fondamentali nella selezione dei materiali. Sugli esterni abbiamo cercato di lavorare con materiali le cui specificità potessero dialogare con la tradizione locale e con le caratteristiche primitive della natura circostante. Allo stesso tempo abbiamo portato all’interno del progetto la caratteristica qualità italiana nella lavorazione dei materiali, come ad esempio la ceramica. Le scelte costruttive dipendono in molti casi dalla situazione economica locale, ma soprattutto dalle caratteristiche del luogo. Il secondo progetto con base in Egitto è una città universitaria, anche in questo caso di circa 8000 unità, sempre vicino al Cairo, nella direzione del Mar Rosso. Il tema di partenza era quello di mantenere una zona centrale universitaria con 3 campus e 4 blocchi scolastici pre-universitari. Il brief prevedeva un sistema di downtown lungo le strade principali della città dove costruire residenze per studenti e residenze vere e proprie. Volevamo che il sistema delle università fosse generatore di movimento rispetto al sistema urbano, per questo abbiamo creato una rete urbana di collegamento e mezzi pubblici che assecondasse questo andamento non-dispersivo.

Alessandro Adamo – DEGW, brand di Lombardini 22.

Mi occupo in particolare di tutto il mondo legato al workplace. Sono entrato molto giovane in DEGW, una realtà che si occupa esclusivamente di progettazione e consulenza spazio-ufficio. Fin dall’inizio, i 4 soci fondatori erano convinti che lo spazio dovesse adeguarsi alle esigenze delle organizzazioni per costruire al meglio il loro modello di business, da questa idea è nata una società molto di nicchia. Occuparsi solo di un ambito della progettazione è abbastanza esclusivo e oggi siamo all’interno di un gruppo molto più ampio, Lombardini 22, che crede sempre nella nicchia di progettazione dei vari settori. Abbiamo una divisione luxury, una dedicata alla physical branding, oltre alla divisione dedicata al mondo degli uffici di cui faccio parte.

Osservazione e analisi costituiscono due attività molto specifiche alla base del nostro metodo di progettazione: cerchiamo di capire in modo reale come viene utilizzato lo spazio ufficio nel corso della giornata lavorativa. Questo metodo è stato brevettato da DEGW circa 20 anni fa, attraverso l’esperienza di lavoro con le società telefoniche. Da allora sono cambiate molte cose, le società un tempo non erano molto attente all’aspetto della fruizione, mentre oggi stanno capendo l’importanza di investire in progetti che migliorino la produttività. Negli ultimi anni questa analisi preliminare è un’attività molto richiesta, in particolare nel mondo finanziario. Si pensi che oggi per un lavoratore il tempo medio di occupazione dello spazio ufficio rappresenta circa il 60% del tempo passato in azienda, mentre quello del posto lavoro è intorno al 40%. Questi dati spiegano perché ci occupiamo soprattutto di space-planning, cercando di capire le necessità specifiche delle diverse organizzazioni. Un cambiamento sostanziale che ha ridefinito, in alcuni casi rivoluzionato, i flussi di lavoro è dato dalle tecnologie che ci permettono di non occupare fisicamente un solo posto di lavoro ed essere quindi molto più decentrati rispetto al passato.

Il tema degli spazi, della mobilità e del lavoro in team sono tre punti sui quali ragioniamo. Sicuramente negli anni ’70 la mobilità non esisteva e il lavoro in team era molto meno frequente; gli ambienti di lavoro erano per lo più fatti di lunghi corridoi sui quali affacciavano uffici chiusi, mentre la percentuale di aree di supporto era molto bassa. In seguito, negli anni ’90, le organizzazioni hanno cominciato a lavorare sul tema dell’efficienza, aumentando la superficie di persone per metro quadro che abitavano non più degli uffici ma degli open space. Le organizzazioni danno molto peso alla velocità delle informazioni e alla qualità del lavoro in team e per raggiungere questo obiettivo cercano il supporto delle tecnologie. Il peso si sposta così dall’efficienza all’efficacia dello spazio e sulla diversificazione degli spazi in base agli utilizzi. Lavorare sulla pianificazione degli spazi di lavoro oggi significa anche relazionarsi con una nuova idea del lavoro: la gerarchia ha sempre meno rilevanza, si ragiona meno sul livello organizzativo e più sul tipo di attività che viene svolta in ufficio e sulla caratteristica del lavoratore di essere resident o mobile.

Anche i ristoranti aziendali sono visti come delle grandi risorse, spazi che possono essere utilizzati anche durante la giornata lavorativa per riunioni. Nella fase di studio è molto importante tenere conto di due complessità diverse: l’analisi oggettiva e quella soggettiva / percettiva. I dati ricavati da una prima fase di lavoro sono il risultato di un monitoraggio costante in situ in relazione al fattore tempo e per numero di persone; a questi dati uniamo le risposte ai questionari di un campione di partecipanti selezionati. Questa somma ci permette di accostare a dati oggettivi e scientifici una scansione più vasta di emozioni basate sulla percezione e sulla sensibilità dei singoli individui in relazione al luogo e al cambiamento.

Oltre ad osservare, capire qual è il modello ideale da implementare, definire attività e tipologie di lavoro, è necessario lavorare anche sulle tecnologie per unire l’innovazione degli spazi alla loro abilitazione. Un caso significativo in questo senso è quello di Microsoft, che trasferendosi nella nuova sede di Milano nell’edificio progettato da Herzog & De Meuron è passata da 20.000mq della sede precedente agli attuali 7.000mq. Oggi le aziende ci chiedono semplicità nel dimensionamento e nel design degli spazi. Attenzione particolare va dedicata ai tall buildings: una bellissima esperienza recente, appena conclusa e che ha visto coinvolta anche Rimadesio, è stata il progetto della torre di Allianz.

E proprio in questo periodo stiamo lavorando sul progetto di Price PwC, la terza torre del quartiere City Life. Il tema del grattacielo oggi ci pone davanti ad elementi complessi che devono allo stesso tempo essere efficienti e funzionali. Una torre ha delle caratteristiche di efficienza molto diverse da altri edifici: ad esempio è importante la possibilità di modifica del layout interno, così da permettere una buona gestione dei flussi: la soluzione della pianta libera pone al centro del progetto le persone e le loro esigenze. Proprio perché crediamo che le persone siano il vero valore delle organizzazioni crediamo anche che, quando ci sono progetti di cambiamento, sia molto importante prepararle a vivere i nuovi spazi attraverso il coinvolgimento.

Marco Casamonti – Archea Associati.

Da tanti anni ci occupiamo del rapporto tra l’architettura e le arti, le arti figurative, il cinema, la letteratura in particolare, e tra tutte le arti, credo che la letteratura sia la più indicata per capire l’architettura. Se dovessi insegnare ad un giovane studente del primo anno come scrivere un saggio di architettura in un linguaggio che non gli è proprio, gli direi di non pensare all’architettura, di pensare piuttosto di scrivere un racconto con gli strumenti che già possiede.

Il motivo per cui la letteratura è vicina all’architettura è che si tratta di un sapere molto complesso, un’equazione con molte incognite. Le parole e il loro significato mi interessano molto e l’architettura è una di quelle discipline alla quale troppo spesso associamo parole cui non sappiamo dare il giusto peso, come “smart city” o “architettura sostenibile”… Mi sono interrogato quindi sulla parola contract, che altro non è che un contratto tra il progettista e le aziende, e ho pensato che in questo caso le aziende italiane rappresentano un interlocutore particolare, in grado di risolvere il problema attraverso la semplificazione di un sapere complesso. Penso che sia molto importante oggi lavorare con aziende che facciano ricerca, che abbiano un know how, un sapere col quale il progettista possa plasmare il proprio progetto. Per usare una parola citata poco fa, il progettista dovrebbe essere “smart”, cercare la modalità migliore per collegare in modo veloce e intelligente tutte le risorse legate al progetto e allo stesso tempo, preoccuparsi del “contract”, ovvero scegliere gli artigiani migliori che semplifichino le problematiche senza perdere le qualità estetiche intrinseche all’opera da realizzare.

L’architetto in fondo progetta pensando al mondo delle arti. Kant diceva che “l’architettura è un’arte minore perché serve a uno scopo” (“pulchritudo adherens”), al contrario dell’arte che si fa per il piacere. Io invece penso che sia più difficile fare qualcosa che sia funzionale, che aderisca ad uno scopo, dove ci sia complessità sulla quale lavorare. L’architetto oggi dovrebbe essere anche un po’ artista, dovrebbe riuscire a progettare i propri materiali, ad impegnare le aziende. In questo senso le aziende italiane sono avvantaggiate: sono in realtà composte di artigiani in grado di produrre soluzioni inedite con una qualità paragonabile alla produzione industriale. L’architettura in fondo è materia e tattilità, e l’architetto dovrebbe saper progettare anche i mattoni di cui è fatta.

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